Intervista ad alta quota: Antonio Di Carlo racconta la sua cantina e le ultime novità di Le Macchie
La cantina nasce nel 2011 a Castelfranco a Rieti. Era un momento critico: Antonio Di Carlo (l’attuale dirigente della Cantina) e la sua famiglia stavano valutando di spiantare l’ultimo vigneto, quello che un tempo lontano fu piantato dai nonni. La nonna si oppose fortemente per il grande valore affettivo a esso legato. Fu così che decisero di continuare a utilizzare le vecchie vigne ma con una nuova idea, quella di produrre vino di qualità. Comprarono silos e diraspa-pigiatrici e capirono che quel territorio era territorio vocato. Da quel momento iniziarono a piantare anche varietà internazionali come Riesling Renano, Merlot e Gewurtztraminer.
Cantina Le Macchie ad oggi conta circa 10 etichette di vini con varietà autoctone ed internazionali disposte in circa 7 ettari di vigneto sopra i 600 metri di altitudine.
In questa intervista Antonio Di Carlo ci ha raccontato le innovazioni che porterà alla sua azienda e la sua idea di fare vino.
Buona lettura!
Quali sono i vitigni autoctoni utilizzati?
La Malvasia ed il Trebbiano sono le più abbondanti. Poi c’è il Cesenese Neroche è proprio un vitigno autoctono di Castelfranco di cui erano rimaste veramente poche piante, tra cui una di 150 anni che abbiamo risistemato e iniziato un processo di riproduzione molto lento che conta ad oggi poco più di un ettaro.
Qual è l’età media dei vitigni?
Noi dividiamo la linea di produzione in due parti: la linea di Tradizioneche viene da vigneti che hanno almeno 40 anni, in parte nostri in parte di altri tre conferitori sempre della zona; l’altra parte la facciamo con vigneti nuovi, la maggior parte nati nel 2009 ad esempio il Riesling, il Traminer ed il Merlot.
Utilizzate anche botti o solamente silos in acciaio?
Su alcuni prodotti lavoriamo solo in acciaio, quindi fermentazione e affinamento in acciaio. Su altri prodotti facciamo fermentazione in acciaio e poi maturazione in legno, questo a seconda dei vini. Sui rossi tutti passano in legno. I bianchi l’80% fa solo acciaio, l’altro 20% anche legno.
Utilizzate anche barrique o solo botti grandi?
Ci sono sia tonneau che barrique, questo a seconda dei prodotti. A volte facciamo anche dei tagli quindi passano un po’ per tonneau, un po’ per barrique.
I vini che passano per barrique sono solo i vini di punta dell’azienda?
Dipende dal vitigno, dipende da quanto il vitigno si adatta ad un determinato tipo di legno. Ci sono dei vini che sono già più eleganti quindi non necessitano di un’impronta di legno che li andrebbe a prevalicare. Viceversa ci sono vini come il Merlot che già di suo ha una struttura importante e quindi il legno va ad esaltare questa struttura.
Ha ricevuto dei riconoscimenti?
Sì. Il primo fu quello di Luca Maroni che premiava il nostro rosato come il miglior rosato del Lazio. Poi la guida dell’Associazione Italiana Sommelierche per tre anni consecutivi ha premiato il nostro Merlot con i quattro tralci. Quest’anno siamo stati anche inseriti al Merano Wine Festivalcon il nostro Cesenese Nero che prevede antecedentemente un concorso per entrare.
Il rosato ha un nome sull’etichetta?
Sì, Bandolo della matassa, perché è stato il nostro primo vino prodotto e ci ha fatto ritrovare quella strada perduta dato che negli anni ‘70 la mia famiglia produceva vino e poi questo percorso si è interrotto per circa 40 anni. Solo il Riesling, tra le nostre etichette, non ha un nome di fantasia, mentre gli altri prendono il nome dalle particelle del terreno o da qualcosa di caratteristico come ad esempio la Torre del paese che era l’ultimo baluardo tra lo Stato Pontificio e il Regno delle due Sicilie ed il nostro Cesenese Nero si chiama appunto L’ultimo Baluardo.
Quindi c’è un nesso tra il logo dell’azienda ed il vino?
Esatto, è la torre stilizzata che rappresenta un po’ il territorio.
Fate anche prodotti spumanti?
Sì. La prima annata prodotta è stata la 2016 ed è un Sangiovese vinificato in purezza rosato che ancora sono sui lieviti e vorremmo arrivare a 30 o 36 mesi di rifermentazione. Lo scorso anno ci siamo cimentati dividendo due prodotti, uno a base Malvasia ed uno a base Sangiovese; le uve di questi vino vengono da vigneti di almeno 40 anni e vengono dalle parti più basse del nostro paese nelle zone meno assolato in cui la maturazione fa un po’ più fatica ad arrivare per avere vini a bassa gradazione alcolica ma con un acidità importante. Quest’anno invece abbiamo sperimentato un taglio tra uve bianche e uve rosse, 40% Malvasia 60% Sangiovese vinificato in bianco. Presumo che nel giro di un anno i primi prodotti della spumantizzazione andranno in commercio. Invece da marzo la novità sarà che inizieremo i lavori di un impianto di vigneto di un ettaro a 1080 metri sul livello del mare e faremo uno dei vini più alti del centro Italia. Ancora è da decidere il vitigno che utilizzeremo.
Oltre a questi grandi progetti che lei porterà avanti con Le Macchie, cos’è per lei il vino?
Il vino per me è condivisione. Dal mio punto di vista il vino è un momento in cui ci si confronta, sulle varie culture, sulle varie tecniche di produzione. E’ un momento di gioia perché si utilizza nei momenti in cui c’è qualcosa da festeggiare o per un momento per staccare dalla monotonia quotidiana. In questa fase della mia vita ho abbandonato quello che era la poesia in senso stretto che c’era con il vino. A volte si è troppo fiscali dal punto di vista degli abbinamenti con il cibo, ci si preoccupa molto di andare a cercare qualcosa che debba andare a completarne un’altra. Ad esempio andare a trovare un vino che possa accontentare due portate è difficile ed anche studiare l’abbinamento lo è perché possono cambiare le materie prime per via della stagionalità o il gusto di averla raccolta più matura o meno. Tante volte si va all’esasperazione di questi abbinamenti che ti fa impazzire e magari non riscontra neanche la giusta complicità. Sono più per godermi il vino da solo quindi viva il vino dello stare insieme e di condividere una passione.