Una terra, una storia e un grande popolo
A parlare nei calici del Piemonte, si sa, è soprattutto consapevolezza, amore e protezione che ha un grande popolo per la sua grande terra. Ma cosa è cambiato oggi rispetto a ieri e come sono tutelati i produttori ce lo racconta in una interessante intervista Matteo Ascheri Presidente del Consorzio di Tutela Barolo Barbaresco Alba Langhe e Dogliani.
Buona lettura.
Quali sono i cambiamenti da lei apportati e quali gli obiettivi da raggiungere?
Innanzitutto, abbiamo dieci denominazioni da tutelare e gestire e ognuna ha le proprie caratteristiche. Per riuscire a gestire tutto, abbiamo creato dei comitati di gestioni per ogni denominazione perché ogni vino merita una sua specifica gestione. Ci sono delle denominazioni che vanno gestite con più rigidità e mi riferisco a Barolo e Barbaresco perché la rigidità ha garantito il successo che abbiamo avuto in questi anni e altre con più flessibilità, come il comparto Langhe e il comparto di vini che portano la denominazione Alba. Ogni vino è diverso dagli altri.
Esiste qualche denominazione che rende più a fatica rispetto a quelle più affermate?
Sì, parliamo del comparto Dolcetto e un po’ di quello del barbera. Ci sono due tipi di problemi: una è di carattere commerciale: il Dolcetto è un vino che sconta un po’ di problematiche come la mancanza di sbocchi all’estero e anche il fatto che negli anni i produttori hanno impostato la produzione del dolcetto con caratteristiche diverse, da un vino più semplice da bere a un vino più importante. E pi c’è il problema della flavescenza dorata che sta decimando i vigneti del barbera e del dolcetto. Per queste problematiche tanti vigneti a base di dolcetto e barbera vengono espiantati e ripiantati nella base nebbiolo con un incremento molto grande di Langhe e nebbiolo.
Il Consorzio è innanzitutto tutela. Come regola l’impatto chimico?
Ho ideato un progetto che si chiama Green in Langa che ha lo scopo innanzitutto di controllare quelli che sono i residui fitofarmaci nei terreni, sulle uve, sulle foglie e nei vini. Al di là di questo la repulsione dell’impatto chimico è comunque una mentalità che si sta sviluppando. Oltre a questo c’è un’altra grande parte che riguarda la gestione del personale: le nostre produzioni richiedono moltissima mano d’opera e la gestione di questa attraverso le cooperative agricole è un punto critico su cui noi vorremmo dire la nostra, vorremo arrivare ad una situazione che fosse virtuosa anche da questo punto di vista in cui tuteliamo la natura da una parte e le persone dall’altra; poi c’è la logistica, siamo un territorio protetto dall’Unesco e la logistica dei nostri prodotti fa sì che ci sia molto traffico di camion che vanno avanti e in dietro e vorremmo sviluppare un polo logistico al di fuori della collina per preservarla dall’inquinamento.
Di quali denominazioni l’estero subisce più il fascino?
Barolo e barbaresco sono i marchi più importanti e considerati tra i vini rossi italiani i più importanti e pertanto hanno una domanda più forte all’estero.
E in Italia si vende di più o meglio?
Si vende meglio anche se i numeri sono cambiati, si vende meno prodotto ma di più alta qualità.
Grandi Langhe che si terrà a breve porterà innovazioni nell’ambito del format anteprima?
Quello che abbiamo cercato di fare è di essere in anticipo proprio per caratterizzarci con una vera e propria anteprima. Prima la data variava tra aprile e maggio e abbiamo cercato, con la data di fine gennaio, di inserirci in un periodo che non è inflazionato sia per i produttori, ma anche per chi verrà a degustare. Abbiamo scelto poi un’unica location ad Alba, Palazzo dei Congressi.
Parliamo ora dei suoi vini. Il suo nome è legato a un grande passato, come vive il rapporto tra tradizione e innovazione?
È un concetto fondamentale perché tradizione può essere una forza ma anche una debolezza. Bisogna capire innanzitutto da dove veniamo e capire che il nostro passato ha un significato e i risultati che stiamo ottenendo sono frutto di decisioni prese in passato, dopodiché bisogna prendersi delle responsabilità perché dobbiamo essere in grado di innovare e quindi deve essere sempre un buon compromesso: capire il nostro passato per vedere il nostro futuro. Questo vorremmo essere noi.
Qual è la perla della sua cantina?
Siamo produttori di barolo, ma abbiamo piantato nel Roero un paio di vitigni non tradizionali in modo particolare syrah e Viognier con due vini Montalupa Rosso 100% Syrah e Montalupa Bianco 100% Viognier.
Cosa è per lei il vino?
È una sfida dell’uomo con la natura, ma la cosa più importante del vino è la sua riconoscibilità. Dobbiamo fare un vino che sia espressione più chiara possibile dell’origine, del vitigno di partenza sommata all’idea del produttore. Quindi è l’immagine di queste tre cose, di un luogo, di un vitigno e di chi lo ha fatto.